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Cambiare direzione

4 Commenti 22 Agosto 2014

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È un post confusionario, senza capo né coda, un post di servizio per vedere se mi aiuta a sbrogliare i nodi che c’ho in testa, abbiate pazienza.

Prima considerazione: quando ho iniziato a pensare che ci fosse un’unica direzione da perseguire autisticamente? Quando è successo che mi sentissi invischiata in un tunnel senza uscita e senza scappatoie e neppure inversioni di marcia? Voglio dire: ho fatto rivoluzioni un sacco di volte da quando ho potuto decidere abbastanza autonomamente della mia vita, ho cambiato città, università, ho lasciato lavori, ne ho scelti altrettanti, ho fatto un mucchio di cose diverse, abbracciando sempre con passione e determinazione e con ogni fibra del mio essere tutte le situazioni che mi si sono presentate o che mi sono andata a cercare, fino all’ultimo respiro. Davvero, gli ultimi 15 anni sono stati intensi e pregni di stimoli, sono stati un crocevia di ambizioni e progetti, ma anche un pullulante percorso fatto di traguardi e realizzazioni. Non ho mai avuto paura del cambiamento, piuttosto della staticità. Forse è per questo che a un certo punto, non so quando di preciso, sono stata stanca e mi sono trincerata nelle mie sicurezze che ritenevo solide e meritate — finalmente — evitando le nuove sfide.

Seconda considerazione: sono in un nuovo capitolo della mia vita, lo sento nettamente. Sto uscendo dal periodo focalizzato sulla maternità e il suo trambusto, mentre mi affannavo per capire e imparare, ma ne sto uscendo con nuove consapevolezze, con una maturità donata dai miei bambini e una prospettiva sulle cose con la quale anche io sto pian piano prendendo le misure. È tutto nuovo. Sembra che poche cose oggi mi vengano spontanee, le altre le sto apprendendo. Quelle poche cose, però, quelle che mi vengono da dentro, che mi fanno riassaporare un entusiasmo per i sussurri del mondo dal quale per gran parte della mia esistenza mi son voluta proteggere, quelle poche cose mi danno felicità: stare con i miei bambini senza sovrastrutture, ascoltarli, apprendere da loro, lasciare che sconvolgano il mio sentire per potermi riconoscere e poi scrivere. Sono i miei due punti fermi, i miei bambini e le parole che finalmente stanno sgorgando come un fiume in piena per dare forma a ciò che vedo, a come lo vedo, a ciò che penso e mi tortura, a ciò che mi angoscia e mi commuove. Avevo il cuore sotto mandate, ora si schiude. E sto imparando nuovamente a parlare, a stringere una mano, a scegliere una prospettiva, a proteggere le cose fragili — le più importanti — sto cercando nuovi modi per non farmi scalfire, per scegliere e per dare.

Ancora considerazioni sparse: ho un’inesauribile ansia di nutrirmi, studiare, conoscere, ampliare i miei orizzonti. Ho un’instancabile necessità di creare, svuotarmi, rinnovare la pelle. Sono latentemente spaventata dai sacrifici, dalla fatica, dalla sconfitta, dalla durezza, dalla debolezza. Sono prepotentemente sicura di me perché per la prima volta ho chiaro il meccanismo: il fine non riguarda nessun altro che me, ho già tutto tra le mani, devo solo darmi l’opportunità di farne il mio quotidiano; nessuno può interferire, nessuno può prendervi parte, la soddisfazione sta nella pratica che è già punto d’arrivo.

 

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4 Commenti fin'ora

  1. squa ha detto:

    …”a un certo punto, non so qterribilepreciso, sono stata stanca e mi sono trincerata nelle mie sicurezze che ritenevo solide e meritate — finalmente — evitando le nuove sfide.”
    Io pensavo che fosse per il burnout e poi il lutto atroce che ho vissuto, in contemporanea alla gravidanza. Ma non lo so più. Forse è l’età, forse è solo stanchezza.
    Di certo leggere che poi ad un certo punto passa è emozionante e non vedo l’ora che succeda anche a me.

    Bello questo post, per niente sconclusoionato

  2. Mamma Avvocato ha detto:

    Sconclusionato non direi…il senso c’è e pure profondo.


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