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Il legame madre figlio

17 Commenti 26 Febbraio 2014

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Da qualche giorno circola su internet un video, “Neonato non vuole staccarsi dalla mamma, semplicemente stupendo!”.

L’ho trovato condiviso da alcuni contatti su Facebook e mi sono rapidamente balzati agli occhi i commenti entusiasti e commossi che lo seguivano, così l’ho visto.

La mia reazione è stata tutt’altro che estatica, piuttosto direi basita, tutt’altro che romantica, piuttosto compassionevole. Alla fine ero furiosa.

In questo video c’è un neonato, che poteva essere mio figlio, che con caparbia, forza, struggente determinazione chiede il rispetto per un suo diritto. Il diritto gli è stato negato, probabilmente per la necessità di completare un protocollo ospedaliero che non prevede l’attesa di un bisogno intimo e potente come il recupero del legame madre figlio in prossimità del parto.

Quella madre inerme cosa avrà potuto percepire di quegli istanti? Il legame indissolubile con la propria carne che gli veniva sottratta? Forse la frustrazione di non riuscire a muovere una mano e ad accogliere tra le braccia il frutto del proprio ventre? Il dolore nel vedere il proprio bambino allontanato tra le lacrime e le urla? O forse, ancora, l’inadeguatezza — a posteriori — quando penserà di non aver potuto dare al figlio ciò che con le unghie stava chiedendo? Non ci è dato sapere.

Sappiamo solo da questi pochi istanti che una nascita come questa viene riconosciuta dai più (che hanno ritenuto di commentare) come “l’emozione più grande”, quando è un abuso perpetrato ai danni di un neonato che viene allontanato ingiustificatamente e deliberatamente da sua madre e anche ai danni della madre che viene privata e defraudata di un momento dal forte impatto emotivo, utile a completare il rito di passaggio del parto. Momento oltretutto fisiologicamente necessario per entrambi per innescare un sano allattamento al seno.

Ho varie domande che mi frullano nella testa.

Quale imprinting conserverà un neonato che nei primi momenti di vita ha subito questo tipo di violazione?

Com’è possibile che la percezione comune ignori totalmente i chiari e disperati messaggi di un neonato? O, meglio, che li legga come una tenera esternazione fine a se stessa che però non viene approfondita, difesa. Non ho letto neanche un commento scandalizzato sul comportamento dell’operatore sanitario (il ginecologo?) che dopo i pochi secondi utili a filmare il “fenomeno” ha proceduto a completare il distacco tra madre e figlio.

Perché vogliamo continuare a farci raccontare questo tipo di nascita, con camici verdi, cuffiette, madri sedate e bambini estratti e allontanati dalla loro fonte di sopravvivenza? Questo, in fondo, dovrebbe essere un caso limite, un’emergenza, una rarità, noi invece lo riconosciamo come un forte stereotipo di parto: quali conseguenze può avere questa distorta percezione sociale di un evento fondamentale per la vita di ognuno come la nascita?

I tuoi commenti

17 Commenti fin'ora

  1. Siro ha detto:

    Siamo talmente assuefatti al parto ospedalizzato che scommetto che molti non capirebbero a fondo quello che stai dicendo.
    Un’altra via è possibile, comunque, anche all’ospedale. Per entrambi i mie bellissimi, sereni, “facili” (forse perché messa in condizione, oltre che fortunata?) parti io ho potuto godere della vicinanza delle mie bimbe per veramente tanto tempo. Alice si è calmata in fretta, e io sanguinavo molto, mi è stata tolta per lavarla velocemente e mentre mi sistemavano è stata messa sulla pancia del papà, steso al mio fianco, sotto alla maglietta, tanto che ha cercato di attaccarsi a un suo capezzolo.
    Dalia non si voleva staccare, ed è stata lasciata nelle mie braccia, ancora piena di membrane, finché non ci siamo addormentate entrambe, poi è stata prelevata con molta dolcezza e lavata. Peso e misurazione dell’altezza le ha fatte il papà. Il tutto è durato pochi minuti e la bimba mi è stata ridata immediatamente.

    • caia coconi ha detto:

      ma io infatti credo nell’informazione e nella comunicazione proprio per lanciare un messaggio diverso, che non e’ “partoriamo a casa” e’ “non calpestiamo i diritti umani in occasione del parto”, che sia in casa in ospedale o in ambulanza.

      ben vengano le esperienze e le eccellenze dove pur in contesto ospedaliero non si medicalizzi il parto.
      magari!
      perche’ in fondo ospedale e medicalizzazione potrebbero anche non andare di pari passo.
      scegliere per l’ospedale non deve voler dire abbassiamo la testa perche’ va cosi. no. la nascita va rispettata a prescindere, ovunque e comunque.

  2. Francesca ha detto:

    In effetti il rispetto di protocolli, quella che poi diventa una routine per gli operatori sanitari, fa si che il parto sia solo un qualcosa da “fare” e non da “vivere e sentire”… A me la bimba è stata data dopo che era stata pulita e visitata, forse dopo dieci minuti e me l’hanno lasciata per altri dieci… poi i punti, la visita nella nursery, il bagnetto e l’ho rivista dopo ore… incredibilmente l’ho trovata “arrabbiata”, col visino “ingrugnato”…
    e forse è stato per questo distacco… sinceramente li per li non ci ho pensato… assuefatta anch’io dal “doveva essere così” e dal fatto che non mi sentissi pronta per fare diversamente… con il mio/a secondo/a, che aspetto da pochi mesi, non lo so ancora come vorrei che fosse… ma ci penserò… grazie per gli spunti di riflessione che mi hai dato!

    • caia coconi ha detto:

      grazie a te per il tuo commento.
      questo per me e’ uno degli aspetti piu’ dolorosi legati al mio primo parto.
      E la cosa che mi fa piu’ rabbia, anche a distanza di cinque anni e’ che se ci si sofferma, molto spesso queste sono lacerazioni dovute unicamente a ignoranza e superficialita’.
      l’ignoranza rispetto alla fisiologia della nascita, dal travaglio all’immediato postpartum dalla parte della madre e dalla parte del bambino in termini di benessere psicofisico, di legame, di carnalità, che non sono aspetti trascurabili, ma fondamentali.
      Superficialità emotiva in termini di empatia e di capacità di stare dentro le cose, nel flusso della vita… altrimenti vai a fare il ragioniere, non l’ostetrica o il ginecologo.
      E non parliamo poi dell’impatto negativo e di tutti i risvolti in termini di sicurezza nel parto che proprio il cattivo sostegno, le ingerenze inadeguate e la malagestione del travaglio possono procurare a madre e bambino che poi subiscono ulteriori interventi che passano come “salvavita” e sono meramente delle pezze a colori che mettono per risolvere i guai che loro stessi hanno provocato.
      Io ti auguro con tutto il cuore di acquisire consapevolezza, trovare il contesto giusto in cui partorire e avere un’esperienza meravigliosa e memorabile, tutte le donne lo meriterebbero.

  3. firmatocarla ha detto:

    Ho ovviamente guardato il video e ho letto alcuni dei commenti che campeggiano là sotto e i 59mila altri immagino siano almeno in gran parte dello stesso tenore. Mi sa che nessuno (o quasi) si è soffermato sul dolore lacerante di quel cucciolo. Che nessuno ha provato ad immedesimarsi nella grande lacerazione che stava avendo luogo e che accade ogni giorno in migliaia di ospedali, ovunque.
    Certo che è amore e proprio per questo andrebbe tutelato!!!!
    Ti abbraccio, grazie per averlo condiviso, non mi ci ero imbattuta…

    • caia coconi ha detto:

      Ti abbraccio, grazie di rimandarmi terreno fertile e acume.
      Talvolta mi sento una mosca bianca, invece non e’ cosi.

  4. Hermione ha detto:

    Io credo che il problema sia molto più ampio e riguardi una dis-umanizzazione delle cure che purtroppo non tocca solo l’ostetricia. Con questo non voglio certo giustificare i comportamenti che tu denunci, ma solo aggiungere che è tutto il sistema ospedaliero (con le dovute eccezioni delle “realtà eccellenti”) a soffrire di una scarsa attenzione al paziente. I motivi possono essere molteplici: i soliti fondi carenti, i ritmi di lavoro del personale spesso sotto organico, precario e defraudato dei più elementari diritti, le strutture inadeguate. Ma certo, tutto questo non giustifica certi comportamenti né tantomeno quei medici e operatori sanitari che riversano sui pazienti, sui malati, le loro frustrazioni. Con l’idea che siccome è “gratis” non ti devi lamentare.
    Lo scorso anno mi sono ritrovata ricoverata con mio figlio (all’epoca quattro anni) in un ospedale pediatrico della mia Regione per un piccolo intervento chirurgico. Noi tutto sommato siamo stati fortunati perché mio figlio è stato visitato e operato nell’arco di pochi mesi, nonostante la mostruosa lista d’attesa, e quindi, in base alla teoria di cui sopra, non dovrei lamentarmi. Però è stata un’esperienza devastante: i locali del reparto del tutto inadaguati, madri che dormivano notte dopo notte sulle sedie, bagni condivisi con decine di altri ricoverati, e la sensazione di solitudine poiché le visite dei parenti erano consentite solo per un’ora al giorno. Tutto questo in una struttura dedicata ai bambini…

    • caia coconi ha detto:

      mi dispiace molto della situazione che racconti.
      e hai ragione che si tratti di una questione generalizzata.
      in questo caso ci sono anche risvolti particolari, perche’ una donna che entra in ospedale con un travaglio in atto non dovrebbe neanche essere considerata una “paziente” perche’ non e’ malata. ha bisogno di sostegno, non di cure mediche.
      e poi c’e’ da dire che anche la questione delle eccellenze e’ veramente strana. molti ospedali considerati eccellenze per nascere non rispettano neanche una delle raccomandazioni oms, ma sono centri all’avanguardia dove tutto e’ medicalizzato e promuovono il fatto di farti partorire “senza neanche accorgertene”. bah.

  5. ciao! Arrivo direttamente da firmatocarla. Io quel video non l’ho proprio guardato volutamente. Non mi piace la spettacolarizzazione di momenti così intimi. E da quello che scrivi tu, aggiungo che sono contenta di non averlo guardato. Se penso ai miei due parti e a quei momenti, posso solo dire di essere stata fortunata perché le ostetriche hanno rispettato i “nostri momenti”.

    • caia coconi ha detto:

      Grazie della visita!
      Mi fa riflettere leggere la tua espressione che ho sentito in tante altre donne che mi hanno raccontato la loro esperienza felice di parto: “sono stata fortunata”.
      pero’ e’ drammatico che per una cosa simile ci si debba affidare alla fortuna.
      poi sull’intimita’ gettata in pasto su internet, stendiamo un velo pietoso.

  6. Alessandra ha detto:

    Cosa mi hai scoperchiato… dico la verità, ho intravisto il video, l’ho sbirciato al volo e non ci ho pensato più di tanto. Ma il tuo commento mi ha riportato a galla tante emozioni e un rimpianto enorme legato ai momenti del parto. Ho avuto un parto lungo e difficile, Riccardo è nato 30 ore dopo la rottura delle acqua, aveva un bel testone, e alla fine sono stata “aiutata” dalla ventosa. Qual’è la prima immagine che ho del mio piccolo? A testa in giù, urlante… gambe e braccia che si agitavano. L’ho rivisto 6 ore dopo perchè, hanno detto, con la ventosa poi vanno tenuti sotto controllo. Ma davvero non si poteva averlo vicino almeno un minuto? Sai qual’è la cosa peggiore? Che io lì per lì ho subito tutto perchè non avevo consapevolezza… non so come spiegarlo ma ancora l’istinto non mi spingeva a impormi, a pretendere mio figlio vicino… ora forse saprei reagire diversamente.
    Ah, per la cronaca, allattamento molto problematico… ma va?

    • caia coconi ha detto:

      Cara Alessandra, mi sento molto vicina al tuo racconto.
      E quel particolare che citi mi tiene ancora sveglia, ogni tanto.
      Quello che rende un’esperienza traumatica di parto molto simile a un abuso sessuale e’ proprio questa sensazione di connivenza che ti lascia addosso. come se fosse colpa tua, come se tu fossi una madre inadeguata, come se tu avessi sbagliato qualcosa, tela fossi cercata o te la fossi meritata in qualche modo. e cosi spesso non se ne parla, si mette la polvere sotto il tappeto e si chiude la vicenda in un posto buio.
      questo fa si che i tuoi fantasmi fermentino e gli abusi si continuino a perpetrare.
      io per diversi mesi ho continuato a rispondere tutto bene a chi mi chiedeva come fosse andato il parto, temevo di aprire un vaso di pandora che non sarei riuscita a gestire, temevo i commenti, non ero in grado di parare altri colpi, di rispondere adeguatamente, e sotto sotto ero lacerata dal senso di colpa per non aver garantito a mio figlio una nascita felice.
      poi ho avuto la fortuna di avere una cara amica con cui ho compiuto proprio un percorso di presa di coscienza, mi hanno aiutato anche tante letture che mettevano nero su bianco e anche con penne autorevoli pensieri che io coltivavo in segreto e con latente inadeguatezza.
      ho capito che avevo ragione, che non avevo colpa, che non potevo fare nulla, tranne adesso parlarne, divulgare, informare, dire che non e’ giusto che una donna perda la sua dignita’ in un corridoio d;ospedale, n’e’ che un bambino nasca nell’aggressione piuttosto che nell’amore.

      • Alessandra ha detto:

        Caia, sono andata nel tuo blog a leggere i post dei primi giorni di Momo. Dalla difficoltà che avevi a sederti forse hai sperimentato anche tu la ventosa… poco importano questi dettagli in fondo, quello che ci accomuna è purtroppo il dopo.
        Sai che qualche tempo dopo il parto avevo letto da qualche parte un racconto di una mamma che dopo un parto con ventosa aveva avuto il suo bimbo sulla pancia? Una vera pugnalata. Mi sono sentita tradita. Ma come, ma allora non era vero che dovevano portarlo via?
        La cosa assurda è che ho partorito in una struttura dove si passa, mi sembra, da un eccesso all’altro… dalle 30 ore senza nessun “aiuto” con il bimbo che non nasceva, perchè doveva essere tutto naturale, alla precipitosa accelerata con la ventosa (ma allora tanto valeva un cesareo no?), dall’ostinazione con un allattamento che non partiva e mia relativa frustrazione alle infermiere del nido che gli davano l’aggiunta senza chiamarmi perchè “urlava dalla fame” (da me c’era rooming in, ma lui aveva l’ittero, io sono stata dimessa e lui no e le stanze per le nutrici erano due piani sotto, nella zona uffici dell’ospedale… alla mattina uscivo dalla stanza zoppicante e dolorante, e incrociavo gli impiegati dell’ospedale).
        Ma sai qual’è la cosa che mi strazia di più, che non so spiegare e che credo non riuscirò a spiegare neanche ora? Che io in quei momenti non lo “sentivo” ancora tutto questo attaccamento, non che non amassi il mio bimbo o non lo volessi, ma ero stordita, non riuscivo ad impormi per andare a prenderlo perché ancora non lo sentivo forte questo istinto, ubbidivo alle regole… ora, ora che conosco quell’attaccamento, che è poi arrivato dopo, ora che “so”, forse riuscirei davvero a fare la leonessa e spaccare tutto e riprendermi il mio bimbo e non lo lascerei a urlare nella cullina della fototerapia… O almeno è quello che voglio augurarmi.

        ps. me la suggerisci qualcuna delle letture che hai fatto?

  7. Marta ha detto:

    Ho letto “per una nascita senza violenza” prima del mio secondo parto. Per lo meno mi ha fatto capire che esiste anche un’altra realtà oltre all’ospedale, una realtà a cui non avevo mai pensato prima.

  8. francesca m ha detto:

    Il tuo post mi tocca veramente tanto. Anche io ho avuto due figli, nati in due realtà diverse per puro caso, visto che il mio secondogenito è nato in vacanza!
    In entrambi i casi purtroppo i bimbi erano prematuri (anche se non poi di tanto – 35° e 34° settimana) e in tali circostanze in ospedale ci sono dei protocolli molto rigidi con monitoraggio per quasi tutto il travaglio e con il pediatra già in sala parto.
    Le strutture fanno comunque la differenza perchè nel secondo caso (in friuli dove mi sono trovata benissimo) mi hanno comunque permesso di tenere mio figlio un po’ sulla pancia, ma purtroppo veramente pochi istanti. Sono stati comunque molto sensibili, ma il pediatra mi ha spiegato che era assolutamente necessario visitarlo subito e che non potevo stancarlo provando ad allattarlo così piccolo come era.
    Ovviamente l’allattamento poi è stato veramente difficile e misto.
    Purtroppo non essendo io un medico non posso sapere se sono stati “esagerati” nella medicalizzazione visto che non la si può considerare una gravidanza fisiologica.
    E la salute e la sicurezza dei miei figli vengono al primo posto, ma certamente mi sono mancati quei primi importanti momenti e il tuo post mi fa venire il magone.
    Io non so neanche se è stato fatto il meglio o se lo si poteva fare diversamente; in ogni caso i protocolli sono stati fatti per la salute del paziente, e in questo sono importanti, ma poi diventano delle maglie rigide per tutto il personale sanitario che non può fare diversamente da quanto previsto.

    • caia coconi ha detto:

      Neanche io sono un medico e non posso darti risposte ai tuoi quesiti, ma mi sembra di intuire che dove c’e’ stato dialogo, coinvolgimento nelle scelte da prendere e delicatezza le cose siano andate meglio.
      Molto spesso inquadrare il parto in un contesto medico lo depaupera del suo valore vivifico, portandolo su un piano di patologia da curare, di pericolo imminente da prevenire, di catastrofe da evitare. quando pur non essendo un medico posso dire con certezza che non e’ cosi.
      un parto fisiologico ha bisogno di sostegno, accoglienza, serenita’, rilassatezza, e non di un clima di perenne controllo, di presagio della tragedia. il aprto e’ apertura, la paura fa chiudere. basterebeb sostenere il travaglio in quest’ottica e tante cose andrebbero meglio. poi ovviamente c’e’ il dopo e anche li: nel tuo caso probabilmente si trattava di prematuri e mi viene semplicemente da supporre che a maggior ragione un bambino cosi piccolo avesse bisogno principalmente del contatto con la madre che gli e’ stato negato “troppo” presto e del suo latte piiuttosto che di “non stancarsi” ma sono mie illazioni, qualcosa che d’istinto mi verrebbe di fare. non lo so.
      in ogni caso e’ lo stesso trattamento che ricevono in molti ospedali neonati a termine. semplicemente perche’ quello e’ il protocollo.
      dado me lo sono riportato in camera io in braccio gia’ attaccato al seno e l’ho tenuto addosso piu’ di tre ore, ci siamo riposati dalla fatica insieme. poi e’ arrivato il fratellino col papa’. non ricordo neanche un istante dei dolori del suo travaglio
      mentre ricordo ogni mcontrazione dell’incubo che ho vissuto per il parto di momo, ogni singola contrazione, abuso, tortura. tutto, mi ricordo tutto, non riesco a rimuovere nulla.


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